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giovedì 1 settembre 2011

Chicchinalana


Da poco tempo è stato pubblicato nella collana Anthurium della Ibiskos Editrice Risolo, il romanzo d’esordio dell’autrice sarda Loriana Pitzalis, dal titolo Chicchinalana, del quale io stessa ho curato la prefazione. Ed è con questa che vi invito a leggerlo, perché…
Questo è un romanzo che… racconta. Che conduce altrove, riga dopo riga, in un viaggio all’interno di un isola che non è solo costa, turismo e traghetti affollati nel mese d’agosto. Per leggerlo dunque occorre munirsi degli strumenti necessari al vero viaggiatore: l’apertura mentale, la curiosità, la comprensione e la capacità di immedesimazione. Vi verrà presentata la realtà antica di un popolo poco incline alla diplomazia, poco abituato a scendere a patti, legato indissolubilmente a quei comportamenti tradizionali che – rimanendo immutati nel tempo – finiscono per dar vita ad una consuetudine. Norme di comportamento vecchie come gli ulivi battuti dal maestrale e ancor di più; non scritte ma considerate giustizia da chi le tramanda.
Il mistero e il fascino di una cultura agropastorale, ma anche i limiti e la chiusura che ne derivano, sono in Chicchinalana efficacemente raccontati dall’autrice Loriana Pitzalis, in un’ambientazione fantastica – Iliè non esiste – ma totalmente realistica, poiché proprio Iliè, il paese inesistente, potrebbe essere qualunque paese dell’entroterra sardo in tempi non troppo lontani, laddove ancora si parla di codice barbaricino, dove per una personale e radicata visione del codice d’onore, un vero uomo non si sottrae mai alla vendetta, e dove chi collabora con la giustizia – e dunque riconosce le leggi dello Stato – è spia da emarginare, è traditore.In una realtà come questa e in un tempo in cui la donna sarda è colei che educa il balente, insegnandogli il coraggio e la tenacia da applicare sia nelle difficoltà di una terra dura e ingrata che nella vendetta, Loriana Pitzalis stravolge tutto creando Francisca, una donna duramente provata che a costo di tradire la comunità in cui nasce e cresce, cerca la giustizia dello Stato e non quella degli uomini. Una donna che lascia il suo mondo per sottrarre suo figlio a dinamiche psicosociali che non concepisce, educandolo “in continente” e facendo di lui un avvocato, un simbolo di quella legge e di quello Stato in cui vuole credere per separare nettamente il bene dal male, per farne un uomo giusto e non un giustiziere. Tutto ciò senza rinnegare la sua terra, ed è per questo che vi farà ritorno portando abiti eleganti e coscienza sociale, consapevole dell’emarginazione che l’aspetta.
Ma… Sì, c’è un ma, un ma che ci fa ben sperare – sardi e non – in un mondo migliore, dove la vendetta non sia necessariamente il sinonimo di forza e di potere.
Una lettura che fa riflettere.

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